
Milano – Teatro alla Scala: Recital di Vittorio Grigolo
Il 24 febbraio il Teatro alla Scala ci ha offerto un recital del tenore Vittorio Grigolo, trasmesso in contemporanea anche via streaming. La nostra presenza in sala (eravamo pochissimi) ha potuto davvero fornirci una percezione reale delle condizioni in cui il tenore ha dovuto esibirsi. Il silenzio assordante di un teatro vuoto, il controcanto ancora vivido di una crisi pandemica ancora in atto e una esibizione a favore di telecamera sono solo tre dei fattori perturbativi per una resa ottimale.
Grigolo opta per un recital dal taglio decisamente classico ma non per questo nazionalpopolare, intenzionalmente retorico nel suo impianto e congeniale per un cantante iperteatrale come lui ma senza corrispondenza fisica di uditorio.
La mancanza di un pubblico e di un ritorno diretto emozionale mette alla prova qualsiasi artista e in particolar modo quelli intensamente comunicativi come Grigolo. La sua infatti è stata una performance in crescendo sia dal punto vocale che interpretativo: all’inizio si avvertiva una sorta di tensione che poi il tenore è riuscito man mano a stemperare.
Il recital inizia con l’aria “Angelo casto e bel” da Il duca d’Alba di Donizetti, cavallo di battaglia di tanti celebri tenori. Grigolo principia con un attacco in piano sostenuto, sfoderando poi un bel La bemolle su “a lei le gioie”; in seguito continua ad alternare emissioni dolci fino alla nota finale in pianissimo che aleggia nella sala con una buona ricchezza armonica.
La “Furtiva lagrima” lascia anch’essa il segno per il legato e la bellezza del timbro; il Sol nella esclamazione “ah, cielo” è lasciato volontariamente aperto, mentre il brano si conclude con una cadenza una energica e saldissima.
Meno riuscite la verdiana “La donna è mobile” (un inno di baldanzosa virilità, peccato per la cadenza poco fluida e l’acuto finale forzato) e “Che gelida manina”, eseguita all’inizio in ginocchio e non in maniera eccezionale. Con il procedere del programma l’uso del corpo da parte del tenore, forse anche per l’assenza del pubblico in sala, si fa sempre più espressivo ed energico e Grigolo finisce con il teatralizzare un po’ troppo le sue interpretazioni.
La musica cambia (è il caso di dirlo) quando arriva il turno di “En fermant les yeux” dalla Manon di Massenet. Qui Grigolo dimostra di meritare tutta la sua notorietà: l’aria è eseguita in mezzoforte, con piani poetici, accenti e dinamiche ricchissime tutte incentrate sul valore semantico e sui significati profondi del testo. Sempre nel repertorio francese Grigolo si cimenta in “Ah lève-toi soleil” dal Romeo et Juliette di Gounod, dove a colpire è la dolcezza delle arcate del fraseggio, la pienezza degli armonici e le sfumature in cui il tenore pare bearsi prima del finale di impatto. Ottima anche l’esecuzione del celebre “lamento di Federico” dell’Arlesiana di Cilea così come “E lucevan le stelle” della Tosca.
Al momento dei generosi bis Grigolo pare distendersi e ritrovare calore e agio intrattenendosi con il pubblico in maniera assai sentita; la serie dei bis ci regala un’ “Aria del fiore” della Carmen dall’ottima linea di canto e l’aria del Werther, “Porquoi me réveiller”, che conferma a nostro giudizio che quello francese è davvero un repertorio elettivo nella corda di Grigolo. Il concerto si chiude con una disimpegnata “O sole mio”.
Non desideriamo indulgere nelle ormai consuete argomentazioni contro il tenore aretino, perché le reputiamo inessenziali a fronte di quello che ha dimostrato nella serata, come la sua innegabile capacità di penetrazione affettiva della scrittura musicale, un passaggio di registro padroneggiato sempre con intelligenza (sa lui quando e perché magari lasciare aperto un suono); timbro schietto, ricchezza armonica, una dotazione di dinamiche dolcissime che non debordano mai in falsettone; possesso di acuti saldi e volume notevole.
È ovvio che non possiamo misconoscere (sarebbe una lettura parziale) alcune tendenze un po’ sregolate del tenore, come una certa scattosità nell’andamento del fraseggio, una prossemica del corpo cangiante e ipercinetica, una teatralità e teatralizzazione vocale talvolta eccessiva, qualche forzatura in acuto, ma a dispetto di questi presunti difetti non reputiamo sia possibile liquidare una voce come quella di Grigolo in una mera critica purista e sprezzante. I presunti eccessi o esasperazioni che gli si imputano talvolta non sembrano in questa occasione costituire dei limiti ma caratteristiche eminentemente personali del suo universo vocale simbolico e pragmatico. Tutto concorre, nel bene e nel male, a fare di Grigolo quello che è nella sua essenza; del resto di fronte a tali talenti è impossibile richiedere canoni predefiniti, perché è insito nella loro essenza costruire fisionomie inedite, incasellabili, dove anche quello che è un errore diviene parte della loro peculiarità inimitabile (potremo stendere una lista lunghissima di tenori celebri e delle loro particolarità “irregolari” sempre perdonate).
Parte integrante del buon esito del concerto è attribuibile alla ormai conclamata bravura del maestro Vincent Scalera che offre non solo una prova di pianismo di rara bellezza nei modi e nel sentire l’accompagnamento vocale, ma anche per la sua rara capacità di descrivere in musica l’anima o il senso poetico del discorso musicale in una sinergia profonda e mai prevaricante con il cantante; un modo di intendere l’arte dell’accompagnamento come qualcosa di indispensabile alla piena realizzazione interpretativa del solista, con il quale sembra fondersi in pienezza. Una prova, quella di Scalera, che davvero colpisce per la delicatezza nel creare le condizioni emotive che di sicuro si sono rilevate essenziali a mitigare taluni eccessi di temperamento di Grigolo: in fondo anche qui sta l’arte di un vero pianista accompagnatore.
Una serata piena di emozioni che restituisce al canto ancora una volta la sua funzione catartica e soprattutto di speranza per il futuro che sembra ancora incerto.
La recensione si riferisce al recital del 22 febbraio 2021 aperto solo alla stampa e trasmesso in contemporanea in streaming.
Giovanni Botta