Pesaro – Teatro Rossini: Il viaggio a Reims (streaming)

Il viaggio a Reims progettato da Emilio Sagi e ripreso da Matteo Anselmi, andato in scena il 26 novembre, si attesta come la più consolidata produzione operistica della storia del festival, visto che il debutto risale al lontano 2001 e da allora viene ripreso ogni anno.

Questa produzione preserva intatto il suo fascino con la sua essenzialità che, unita a congegni umoristici finissimi, sembra non essere obsoleta ma eternamente nuova e dannatamente surreale: un semplice stabilimento balneare dove un consesso bislacco di nobili che, tra accappatoi e abiti da festa, si ristorano nell’attesa della incoronazione di Carlo X. Metatemporalità, comique absolu e surrealismo si intrecciano fino a deflagrare nel comico rossiniano umanissimo e mai convenzionale.

Questo allestimento ha significato per tanti giovani cantanti di talento il decisivo abbrivio per una carriera internazionale e per molti (anche per chi scrive) ha anche un coté affettivo e simbolico della quintessenza dell’Accademia rossiniana e dell’anima del Maestro Alberto Zedda.

Anche quest’anno il Rof ci sorprende per la sua capacità di perseverare, a dispetto di tutto, nel suo scopo primario che risiede nella salvaguardia, promozione e tutela delle opere di Rossini ma al contempo nella preparazione degli artisti del domani.

Siamo consapevoli che la maggior parte del parterre dei giovani cantanti è praticamente debuttante e altresì ci rendiamo conto del peso emotivo della resa performativa, considerando da una parte l’importanza della cornice ma anche l’incombente peso delle edizioni precedenti. Non per questo possiamo esimerci dal sottolineare meriti e demeriti di questa produzione, che nel complesso ci pare sufficiente e con qualche figura di spicco.

viaggio a reimsIl versante musicale è affidato al Maestro Alessandro Cadario che dirige con maestria e brillantezza un’ottima orchestra ‘G. Rossini’. Cadario dimostra di conoscere in maniera approfondita la parte e dalla sua concertazione pare trasparire una certa cognizione dell’estetica musicale rossiniana. La sua direzione è agile, profondamente densa sotto il profilo delle raffinatezze dinamiche ed agogiche (anche se non approviamo la scelta di optare per delle variazioni orchestrali inserite nel duetto Belfiore-Corinna). Una direzione efficace, che lascia cantare i ragazzi con agio e adeguatezza anche se talvolta con dinamiche non troppo rispondenti alle esigenze vocali di taluni interpreti. Dobbiamo inoltre sottolineare l’ottima resa del sestetto e del delicatissimo concertato a quattordici voci.

Madama Cortese è interpretata da Michela Guarrera, un soprano dotato di grande morbidezza e ricchezza timbrica che riesce a portare a termine senza problemi l’ardua aria di sortita; le sue agilità sono buone e il suo canto pare libero da sforzi.

Il barone di Trombonok è ben interpretato da Lorenzo Grante, con voce rotonda e morbida; auspichiamo però al contempo che il giovane artista proceda anche nello studio per migliorare la tecnica delle colorature e del centro della voce, a volte troppo aperto, e di trovare una comicità più pregnante e confacente al dettato rossiniano.

Patricia Calvache, nell’impervio ed ostico ruolo della Contessa di Folleville, non convince per la sua impostazione vocale alquanto deficitaria. Tra le mancanze ravvisate, una su tutte è la coloratura (elemento essenziale in Rossini e in questo ruolo), eseguita con un’ininterrotta aspirazione e senza sostegno, a cui si uniscono centri troppo aperti e acuti forzati.

Il baritono Gianni Giuga spicca nel ruolo di Don Profondo. La sua voce è salda e compatta, con formanti e armonici che gli assicurano una pienezza coloristica su tutta la gamma e buona tecnica di canto. Raccomandiamo a Giuga di curare la sua presenza attoriale perché talvolta sembra essere fuori personaggio; il baritono comunque possiede tempra da artista e reputiamo abbia ancora ampi margini di miglioramento.

La Marchesa Melibea, ovvero Nutsa Zakaidze, è la seconda sorpresa della serata. La sua voce è opulenta, ricca, penetrante ma soprattutto aderentissima al dettato rossiniano, con colorature perfettamente sul fiato e a suo agio nella scabrosità della scrittura vocale, oltre a una valida presenza scenica. Unica pecca che riscontriamo è una tendenza soverchia, che speriamo possa correggere, ad allargare ed oscurare un po’ i centri.

La terza sorpresa è Matteo Roma. Il giovane tenore, anche lui non debuttante, ha dimostrato padronanza, buona tecnica e una certa dose di tempra atta a fronteggiare l’impervio vocale di Libenskof, risolto in maniera autorevole. Roma si districa bene tra i momenti più amorosi e soprattutto tra quelli più schiettamente eroici del personaggio grazie a squillo e spavalderia in acuto, oltre a un timbro schiettamente italiano. Ci auguriamo che anche lui non desista dal proposito di un approfondimento tecnico che lo porterebbe anche ad un maggior controllo emotivo e che gli darebbe gli strumenti per affrontare una carriera che potrebbe vedere in Rossini il suo compositore elettivo.

Corinna è Lara Lagni. Il soprano possiede una voce interessante e un buon legato, anche se a tratti il suo canto si fa monocorde e l’emissione tende ad indulgere in suoni poco articolati e sostenuti, preferendo al contempo esasperazioni di maschera e anodine nasalizzazioni; conseguenzialmente i suoi piani in acuto patiscono assottigliamenti timbrici e una certa periclitanza di tenuta e di attacco. Raccomandiamo anche una scelta più opinata delle variazioni che sembrano non consone alle prerogative della sua voce.

Bravo il Don Alvaro di Alberto Bonifazio, che finalmente realizza una coloratura appoggiata e legata unita ad una voce davvero piacevole e ricca di armonici, nella speranza che possa fare più attenzione al passaggio di registro, talvolta non ortodosso.

Un discorso a parte meritano Francisco Brito, Cavalier Belfiore, e il giovane Nicola Ciancio, Lord Sidney. Nel primo abbiamo ascoltato suoni forzati, disomogenei, con vibrato lento e passaggio di registro aperto; la gestione attoriale, dal canto suo, è risultata esagitata e sopra le righe. La sensazione che abbiamo provato è che il tenore non fosse in piena forma, forse per qualche malanno di stagione, e ci auguriamo che sia stata solo una serata no.

Il secondo, Nicola Ciancio, offre una performance davvero non sufficiente sotto l’aspetto vocale, musicale e tecnico. Ciancio non possiede ancora gli strumenti e la congenialità vocale per affrontare la sfida del ruolo temibilissimo di Lord Sidney, dove la voce di basso, tanto prediletta da Rossini, deve dar sfoggio a tutti gli estremi della sua gamma espressiva. Speriamo che con il tempo, e soprattutto con altri ruoli, il giovane Ciancio possa riscattarsi ed acquisire maggiore formazione tecnica e stilistica.

Nel ruolo di Maddalena c’è il giovane mezzosoprano Marta Pluda che canta con sicurezza e bellezza timbrica. Don Prudenzio, interpretato da Alan Starovoitov, pur dotato di bel colore non convince del tutto per una persistente posizione “indietro” della voce.

Brava la Sophia Ernzkyan nel ruolo di Modestina così come simpatico, squillante ed efficace ci è parso Cristian Collia nei ruoli di Don Luigino/Zefirino/Gelsomino.

Efficaci le prove di Ekaterina Sidorenko nel ruolo di Delia e di Stefano Marchisio nel ruolo di Antonio.

Alla fine questo Viaggio a Reims diverte, avvince e provoca anche e soprattutto per la freschezza dei sogni dei giovani interpreti, nei cui occhi si scorge il peso della crisi attuale ma anche i sogni e il futuro che Rossini si incarica di tradurre in realtà.

La recensione si riferisce alla prima in streaming del 26 novembre 2020

Giovanni Botta Tenore

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