Montecarlo – Opéra: Il barbiere di Siviglia

Martedì 18 aprile, all’Opéra di Montecarlo, abbiamo assistito a una ripresa della produzione de Il Barbiere di Siviglia di Rossini andata in scena al Festival di Salisburgo e firmata da Rolando Villazon. Una produzione che segna il ritorno di Cecilia Bartoli (nella duplice veste di solista e direttore artistico) in un ruolo che ha interpretato agli albori della sua carriera proprio in questo Teatro.

L’impianto registico complessivo non convince del tutto optando per una esegesi dell’opera in chiave di teatro dell’assurdo e del surreale attraverso una cifra filmografica attinta agli inizi del secolo che allude a Chaplin e Keaton e arruolando un attore trasformista quale Arturo Brachetti ad inverare la surrealtà del tutto.

L’intento registico naufraga per una parossistica lettura unilaterale del caleidoscopico mondo del pesarese attraverso un florilegio pletorico di gags, balletti, stereotipi, caricature, in un dinamismo forsennato che sovraccarica ed estenua la fruizione estetica.

Villazon inanella una lunga serie di soluzioni che sortiscono un effetto opposto a quello proposto, declinandosi in un insensato realismo grottesco, appannaggio di un mondo teatrale obsoleto e anacronistico, che reputavamo estinto sotto la coltre della Rossini renaissance e della rinnovata sensibilità estetica degli ultimi decenni.

Deludente l’impianto scenico di Harals B. Thor, tra set cinematografici di inizio secolo ed elementi movibili a creare ambientazione interna; decorosi i costumi di Brigitte Reiffenstuel e monotone e oppressive le luci di Stefan Bolligher; efficaci invece le coreografie di Ramses Sigl; di pregiata fattura l’operazione digitale e di videomaking della Rocafilm/Roland. Horvath.

A fare da contraltare dicotomico alla sventurata operazione registica è la direzione musicale di Gianluca Capuano che si dimostra di incontrovertibile pregio e innovativa, riuscendo ad intenzionare il cuore più profondo dell’architettura sintattica rossiniana portandone alla luce la sua perenne vitalità e attualità. Capuano, con un’ermeneutica meditata, opera per sottrazione piuttosto che per addizione, cercando di trascendere certe stratificazioni obsolete di molte risoluzioni interpretative e ritornando alla partitura in sé; il direttore infatti coglie il dinamismo interno e l’inesauribile ricchezza che offre la scrittura rossiniana e riaccede al nucleo delle fonti testuali primigenie. La sua concertazione rivitalizza la narrazione musicale con una componente dionisiaca prevalente febbrile, futurista e riattivando, al contempo, tutto l’iter dei virtuosismi attraverso una vasta gamma inedita di variazioni vocali e orchestrali. Si aggiunge inoltre l’utilizzo di strumenti d’epoca, un basso continuo sempre attivo e presente e rinforzante nel tessuto orchestrale, condotto da Andrea del Bianco (nella veste anche di assistente alla direzione musicale) con grande incisività sonora.

Cecilia Bartoli, nel ruolo di Rosina, si immette con la sua genialità vocale nel solco della direzione musicale  di Capuano, con cui è senza dubbio in comunione di intenti, penetrando in sinergia nella struttura formale e sintattica del Barbiere, restituendoci così una Rosina attualissima e credibile. La voce di Bartoli è salda e dimostra di non aver perso la sua assoluta padronanza tecnica ed emissiva con colorature perfette, acuti smaglianti, brillantezza vocale e abilità attoriale da fuoriclasse; in particolar modo la lezione di Bartoli trasmette alle nuove generazioni un approccio al canto rossiniano capace di consegnarci i suoi arabeschi sonori come veicoli di significazioni profonde piuttosto che di esornativi sfoggi di funambolismo vocale.

Ottima la prova di Nicola Alaimo nel ruolo di Figaro: il baritono dimostra di aver metabolizzato la sua vasta esperienza in questo difficile repertorio sfoggiando destrezza tecnica, acuti saldi, senso e ricchezza del fraseggio, oltre a una loquacissima vis attoriale.

Bene Edgardo Rocha nel ruolo del Conte di Almaviva, che si muove agevolmente nella scrittura rossiniana, suo territorio di elezione; in particolar modo il tenore mostra una condotta sicura delle colorature, degli accenti e del porgere ,unitamente ad una coerenza stilistica propria del tenorismo rossiniano, al netto di una certa tendenza a “scurire” che genera una certa discontinuità nella tenuta complessiva.

Alessandro Corbelli nel ruolo di Don Bartolo si conferma non solo il decano del canto rossiniano ma è ancora oggi un modello per l’approccio sempre meditato, precisione nei sillabati, articolazione e dizione perfetta, uniti ad una attorialità pregnante ed una comunicatività vocale ineguagliabile.

Ildar Abdrazakov nel ruolo di Don Basilio ci offre una prova magistrale con la sua timbrica ricca, equilibrio tra i registri, intensità espressiva, congruenza stilistica, legato ed acuti saldissimi e una densità e copiosità  armonica in aggiunta ad una scaltrezza attoriale, seppure schiacciata dalla biasimevole caricaturizzazione  continua a cui era costretto per scelte registiche, che gli ha impedito di liberare l’interezza della gamma espressiva di questo personaggio, ben al di là di una mera maschera della commedia dell’arte.

Di gran livello la prova del soprano Rebeca Olvera nel ruolo di Berta che infiora la scrittura del personaggio con inusitate e assai incisive variazioni e puntature; il soprano è dotato di una buona proiezione, di un bel colore timbrico, piglio scenico spavaldo ed ironico e sicurezza in acuto.

Buone le prove di José Coca Loza, Paolo Marchini e Przemyslaw Baranek nei ruoli rispettivi di Fiorello, Ambrogio e un Ufficiale.

Arturo Brachetti delinea un personaggio ex machina e metateatrale sempre presente in scena con una mimica gestuale cangiante e divertente; il suo istrionico talento arricchisce la narrazione registica per la sua veridica surrealtà onirica e trasognata, a dispetto delle farsesche e insensate scelte registiche a cui era costretto.

Di buon livello il Coro dell’Opéra di Montecarlo e superba la performance dell’orchestra Les musiciens du Prince-Monaco che invera con maestria il dettato ispirativo di Capuano con una ricchezza timbrica, nerbo, agogica multiforme, abilità e destrezza esecutiva.

Grande successo per tutti.

La recensione si riferisce alla recita del 18 aprile 2023.

Giovanni Botta

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