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Milano – Teatro alla Scala: Recital di Marina Rebeka

Il 20 ottobre il Teatro alla Scala saluta un prezioso recital di canto di Marina Rebeka. In questo delicato frangente storico il Teatro dimostra non solo di possedere virtù meneghine come fortezza, caparbietà e prudenza ma anche sagace fiuto nel saper reclutare artisti raffinati e colti.
Milano-Teatro alla Scala: Recital di Marina RebekaMarina Rebeka ha saputo ancora una volta, dopo la strepitosa performance nella Traviata di poco più di un mese fa, confermare di essere a pieno titolo nel palmares delle più grandi artiste liriche del panorama internazionale contemporaneo. Il soprano è una vera diva che definiremmo “della porta accanto”, un divismo non ieratico ma bensì coniugato con la non comune dose di schiettezza comunicativa e innata simpatia che la rende amabile nei tratti e nel modo di porgere la sua voce.
Il recital comincia inanellando una terna di arie da camera verdiane note ma non del tutto considerate; la prima in ordine di apparizione è “In Solitaria stanza”, romanza composta in gioventù (fa parte dei famosi due fascicoli da sei romanze) che possiede una bellezza disarmante. La Rebeka con il suo timbro prezioso, l’emissione perfettamente sul fiato priva di qualsivoglia velatura di spinta e la rarissima capacità di modulare, eleva la romanza ad un ordine non comune, con una totale aderenza al testo (caratteristica che accompagnerà tutto il recital) riscattando questa lirica come le altre due. Possiamo sottolineare come alcune frasi di quest’aria siano davvero perfettamente realizzate con dinamiche verdiane, come ad esempio “Salvate o dei pietosi”, cantata con una perfetta messa di voce, o la frase “Voi forse non sapreste”. Sono solo due piccoli esempi di come il soprano riesca a graduare gli accenti ma anche a rispettare o enfatizzare le rigorose prescrizioni e/o dinamiche del dettato verdiano tanto disatteso.
Altra lirica verdiana in cui si cimenta l’artista è l’ “Ave Maria” tratta dai mai sufficientemente considerati pezzi sacri (occorre ritornare con forza a questo corpus preziosissimo). Il soprano dipinge con la sua voce sicura i molteplici stati d’animo ispirati dal brano. La stessa capacità le permette altresì di conferire personalità ad un brano come il Brindisi n. 6 che sembra non essere più un esercizio di stile o meglio una mera variante ma un’aria da camera di senso compiuto.
Dopo Verdi è la volta di Tosti con due perle del suo vasto repertorio: “Visione” e “Vorrei”. In quest’ultima lirica la Rebeka sembra a suo agio e sempre capace di carpire i profondi significati del testo (in questo caso dannunziani) e con la sua esegesi riesce ad incidere a fuoco nella nostra anima la struggente bellezza del melodismo tostiano, coadiuvata in questo dal pianismo raffinato di Giulio Zappa. Stesso approccio profondo per “Visione”: la voce è sontuosa e possiede ricchissimi armonici e riscatta il disegno tostiano da uno snobismo che pare relegarlo a un genere minore evasivo ed edonistico. Il soprano dimostra così che la superficialità e la marginalizzazione dell’importanza storico-musicale del nostro Tosti dissimula l’incapacità di cogliere nella semplicità disarmante della sua scrittura immani ricchezze e profondissima maestria armonica e ispirativa.
Il recital continua nel solco della tradizione italiana con tre liriche di Ottorino Respighi: “Pioggia”, “Notte” e “Nebbie” (fortuita coincidenza anche queste tratte da due fascicoli di sei arie). Le prime due liriche, su testo di Ada Negri sono cantate dal soprano lettone con tale gusto che fanno emergere l’aristocrazia compositiva di Respighi; nella sua voce c’è assoluta aderenza prosodica ma anche capacità di seguire il dettato del compositore, che ondeggia in tessiture gravi per poi ascendere con impeto con modalità declamatorie, modali ma al contempo introspettive e profondamente sognanti. Stessa cosa in “Nebbie” dal sapore slavo, ipnotico, crepuscolare, dove il soprano riesce a compenetrare lo spirito poetico del testo, portando alla luce quel magnifico e soporifero tempo lento prescritto che progredisce dalla parola soffro fino all’ascesa in fortissimo sul Sol diesis “Salgono dal recente piano”.
Come spesso accade la Rebeka gestisce benissimo le difficoltà delle scritture centrali o gravi, ricorrenti in molta letteratura cameristica, perché possiede tecnica perfetta il cui distintivo è un passaggio di registro esemplare unito ad un’articolazione del fraseggio fluida e naturale lasciando così la gola libera di poter procedere su tutta l’estensione con comodità, grazie anche ad un controllo assoluto della respirazione. La sua voce ha una proiezione e una corsa davvero singolare, il teatro è costantemente permeato dalla opulenza armonica e timbrica che fa sì che ci sia una penetranza diffusiva senza alcuna spesa vocale, il che è un piacere continuo per le nostre orecchie.

La seconda parte del recital si stende sul crinale russo, incominciando con César Kjui, il noto musicologo (i suoi studi sulla musica russa sono fondamentali) e fondatore del Gruppo dei Cinque che è anche eccelso compositore (meno talentuoso degli altri quattro ma dotato di una rara capacità di effondere nello spirito della musica russa eccezionali fusioni con un certo colorismo tedesco e schumanniano).
Le liriche in questione sono tratte dall’op. 57 n. 17, a cui segue l’op. 49 n. 1 e in conclusione il brano ”Je pomnju”, in cui il soprano davvero si supera per bellezza e legato assoluto.
Notiamo fin da subito che nel repertorio russo, che dopo Kjui si declinerà in tre liriche di Caijkovskij (op. 57 n.1 op. 47 n.6 e ” Zabyt’ tak skoro”) Marina Rebeka sembra fare un passo in più; l’idioma russo sospinge l’artista verso ulteriori lidi di approfondimento ermeneutico e vocale, donandoci pagine di commovente impatto emotivo e spirituale. In “Zabyt tak skoro”, ad esempio, l’altalenanza della scrittura da intimista (cifra Cajkovskijana) si fa effusiva e romanticamente espansiva.
Stessa capacità di fuoriclasse assoluta la Rebeka la dimostra in Rachmaninov (di cui ha eseguito op. 38 n. 1, op. 38 n. 5, op. 38 n. 5, op. 34 n.13) autore a mio giudizio elettivo per le sue corde, per la sua rara capacità non solo di portare alla luce un certo nazionalismo sonoro ma anche di contemperarlo con un uso straordinario dell’elegiaco dipanarsi delle sue arcate melodiche. Pensiamo ad esempio a “Margaritki” e “Vesennie vody”, dove il soprano sembra essere completamente a suo agio e ci regala momenti di estasi assoluta.
Nell’intervallo del recital la Rebeka riceve con la consueta verve e simpatia un importante riconoscimento come il premio, in occasione degli “International classical musical awards”, come migliore artista dell’anno. Il suddetto premio sembra davvero meritato in pieno quando Rebeka sfoggia un altisonante serie di bis rigorosamente operistici, come “Un bel dì vedremo”, “Mercé dilette amiche”, “Casta diva” e “Ebben ne andrò lontana”, tutte cantate con voce ancora freschissima.
Degna di menzione è la Norma: in “Casta diva”, Rebeka ci dà la certezza che certi tempi dove il belcantismo era di casa non sono solo appannaggio del passato, ma patrimonio ancora vivo portato avanti (purtroppo) da pochi eletti del canto. Il soprano porta con sé le tracce potenti della scuola italiana di canto, rendendo ragione della sua formazione e di una sua inclinazione naturale a quello stile che ci ha contraddistinto nella storia operistica.
Non possiamo considerare che l’esito ottimo della serata è stato reso possibile da Giulio Zappa che ha collaborato attivamente alla realizzazione della poetica vocale di Rebeka. Zappa è riuscito a carezzare il tessuto melodico ed armonico dell’accompagnamento in una radicale forma di sonorismo elegiaco, dolce, che nemmeno per un attimo ha ceduto alla tentazione di essere-in sé ma piuttosto di essere-con, di essere strumento preferenziale a sostegno del soprano, portando alla luce i preziosismi coloristici dei brani. Zappa infonde sicurezza e, dall’alto della sua ormai prestigiosa esperienza, anticipa i respiri, segue e sollecita, muove ed è mosso in una dialettica sotterranea tra i due che sembrano quasi fondersi in un unico strumento. Tale gioco sapienziale dell’arte dell’accompagnamento è appannaggio di pochi.
Una serata salutata da ovazioni e partecipazione massima del pubblico.

La recensione si riferisce alla serata del 20 ottobre 2020.
Giovanni Botta

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