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Milano – Teatro alla Scala: Recital di Ludovic Tézier (streaming)

Il recital di Ludovic Tézier, tenutosi domenica 7 marzo al Teatro alla Scala, conferma ancora una volta l’eccellenza della programmazione del Massimo milanese, seppur contrassegnata da una fase davvero drammatica per il mondo teatrale.

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Il baritono francese fin dall’esordio del recital si impone per una compassata e nobile fierezza vocale che potrebbe definirsi neoclassica. I Lieder di Schubert An die Musik e Meeresstille, i primi ad essere eseguiti, offrono subito il destro a Tézier di preparare il tessuto della sua narrazione vocale attraverso un melodismo intensissimo e quella calma, evocata dal secondo Lied, che la sua voce sa esplicitare con eloquenza. La voce del baritono è ricca, tornita, voluttuosa ma estremamente altera: tratti che emergono in “Hör Ich Das Liedchen klingen”, dai Dichterliebe di Schumann, dove l’inquietudine attonita sembra uno dei sentimenti prevalenti. Tézier non indulge in manierismi estetici e dinamici di certa scuola vocale liederistica; il suo approccio alla musica da camera ha un piglio vocale teatrale, privo di languidezze e tinte anodine. Il baritono prosegue il suo viaggio con “Ständchen” di Schubert, affrontata a piena voce con eroica baldanza, quasi a trasfigurare il languore interno con una invocazione romantica, un desiderio di amore assoluto. Tézier unisce alla bellezza sontuosa della sua voce un controllo assoluto del suo strumento attraverso dispositivi tecnici elevatissimi: il suo canto, privo di artifizi, si declina su un’articolazione fluida e una gestione da manuale del passaggio al registro medio-acuto.

Dopo Schubert è la volta di Fauré e del suo ciclo capolavoro L’Horizon chimerique del 1921, che sembra essere congeniale alla profondità dell’anima e alla voce dell’artista francese, il quale traduce in gesto vocale l’anelito verso quell’impossibile che la metafora marina dei versi di Jean de la Ville de Mirmont cerca di simboleggiare. In questo ciclo il baritono mette una marcia in più, ed è come se improvvisamente la sua voce abbia una bellezza aggiuntiva, una maestosità timbrica e una linea di canto esemplarmente nobile. Tézier, nella scelta di far seguire al ciclo di Fauré L’invitation au voyage di Henry Duparc, sembra quasi avvalorare la nostra intuizione che il suo non sia un semplice recital, ma un itinerario esistenziale e vocale verso la ricerca di un senso e di un destino ultimo: metafore marine, viaggi, lune, paesaggi come sfondo di una tensione che la sua voce traduce in forma, con accentuazioni e sottolineature interiori efficacissime che però non passano per i soliti crinali coloristici del Liederisti di professione. In L’Horizon chimerique il baritono dà lezione anche di padronanza di una tessitura ostica, dominata senza nessuna fatica, incastonando piani improvvisi e bellissimi acuti sonori.

In “Les  Berceaux” di Fauré, poi, Tézier sembra cullarci in una sorta di barcarola incantata e ipnotica, e lo fa sempre con quella delicatezza unita alla virilità del suo impianto vocale.

La sezione dedicata alla musica da camera si congeda con le Quatre Chansons de Don Quichotte di Jacques Ibert interpretate in maniera superba. In particolare, nella “Chanson de la mort de Don Quichotte” il cantante si profonde in un lirismo dolente e in dinamiche che rendono tangibili il dolore e lo struggimento.

La sezione operistica è inaugurata con “Scintille diamant” da Les Contes d’Hoffmann e con “Ja vas ljublju” da La dama di picche. Un dittico che rende ragione della grandezza di questo artista. Sorprendente è la resa di “Cortigiani vil razza dannata”, che sembra passare sotto una radicale procedura di nobilitazione tagliando alla radice vezzi, accenti, veemenze tonitruanti, enfasi retoriche e tratteggiando un Rigoletto austero e dolente di rara grandezza. Tézier si conferma non solo uno dei più grandi baritoni verdiani attuali per la sua attitudine e rispondenza di fraseggio e colore ma in generale uno dei più grandi baritoni attualmente in circolazione. Tale assunto trova conferma nella esecuzione magistrale di “Nemico della patria” dall’ Andrea Chénier, anch’essa affrancata da volgarità di emissione e trasfigurata nella nobile grandezza ed eleganza neoclassica della voce del baritono francese.

I due bis che suggellano questo recital (eseguito nel silenzio spettrale di una sala vuota) sono “Zueignung” di Richard Strauss e “O du, mein holder Abendstern” dal Tannhäuser di Wagner, che fanno rifulgere una tecnica solidissima, controllo del fiato e una sicurezza vocale in tutti i registri; strumenti che hanno reso possibile questo viaggio magnifico nel desiderio di assoluto e di verità insito nel cuore dell’uomo che solo una grande voce sa tradurre in suono.

Ad accompagnare Tézier è Thui-Ana-Vuong, pianista vietnamita pregevolissima nella sua capacità di strutturare un tessuto sonoro atto a sostenere e corroborare le capacità del nostro artista, anche se sembra che le sia più congeniale il registro cameristico rispetto a quello operistico, deficitario di alcune componenti dinamiche e di un certo nerbo espressivo.

Un recital, quello di Tézier, che infonde certezza sulla potenza della capacità evocativa e espressiva della voce, che non è solo veicolo edonistico ma farmaco e cura al dolore che attanaglia il cuore dell’uomo. Ecco perché salutiamo la conclusione di questo recital più sollevati e felici.

La recensione si riferisce al recital del 7 marzo 2021 trasmesso in streaming.

Giovanni Botta

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