Milano – Teatro alla Scala: Fedora (cast alternativo)

Giovedì 3 novembre il Teatro alla Scala ci offre l’ultima delle sette recite di Fedora di Umberto Giordano che, in questo allestimento sapientemente congegnato in tutti i suoi innumerevoli fattori, ci rivela il suo côté aristocratico a dispetto delle irricevibili ed ideologiche precomprensioni su quest’opera eccelsa.

Per quanto riguarda la visione di insieme dello spettacolo di Mario Martone mi allineo a quella del collega Ugo Malasoma  [4]convenendo su gran parte dell’analisi critica proposta per la recita del 15 ottobre.

Per la recita del 3 novembre unico ad alternarsi nel cast è il Loris Ipanov di Fabio Sartori; il tenore sciorina la sua maestria tecnica e assurge a rappresentante indiscutibile del tenorismo della scuola di canto italiana. Sartori si disimpegna con piglio sicuro nei dedali dell’ardua e scabrosa scrittura vocale di Giordano, tra incisi cantabili di lirismo spianato, frammentarietà declamativa e la tessitura sempre tesa nelle zone fragili della vocalità. Il tenore ha solida tecnica, passaggio di registro da manuale che attua immancabilmente senza indulgere in aperture ad effetto, linea vocale, acuti squillanti, legato, e un’opulenza vocale che inonda il Piermarini; ottima la sua restituzione scenica e attoriale, talvolta asciutta e scarna ma profondamente eloquente perché sempre sostenuta ed alimentata dalla gestualità vocale che è, nel suo caso, vettore narrativo ed illustrativo della complessità psicologica di Loris.

La Fedora di Sonya Yoncheva al contrario delude in primis per quel suo disattendere in maniera assoluta al nucleo quintessenziale della partitura di Giordano; il soprano non solo traduce la sua idea del personaggio con tratti volgari e un’ostentazione di sensualità compiaciuta al posto di una compenetrazione attoriale intima e drammatizzata; Yoncheva persegue un effettismo vocale continuo in particolar modo nella prima ottava con un uso del petto aperto, gutturale, ostinatamente parlante con una monotona drammatizzazione declamativa fuori stile; in aggiunta rileviamo una certa disomogeneità tra i registri, una scarsa proiezione nel centro ed acuti pressati.

La ricchezza del dramma degli individui in cui sembra consistere l’opera di Giordano, il profondo psicologismo dei suoi personaggi, gli stilemi compositivi narrativi ricercati, la trama strutturistica ricca di reminiscenze motiviche ci sembra non assumibile nel novero della mera immediatezza scenico vocale di tipo verista; per tali ragioni condotte vocali eterodosse, non inserite nell’alveo di un’ordinata forma tecnica non colgono quel versante di naturalismo esotico e le relative curvature semantiche della drammaturgia di Sardou, di cui Giordano è forse tra i massimi traduttori musicali.

Degna di nota la prova di tutti i comprimari coinvolti, in particolare quello dell’ottimo Gregory Bonfatti come Desiré e quella della bravissima Caterina Piva nel ruolo di Dimitri.

Alla fine applausi e successo per tutti.

La recensione si riferisce alla recita del 3 novembre 2022.

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