
Milano – Spazio Teatro 89: Il Barbiere di Siviglia
Allo Spazio Teatro 89 di Milano l’associazione culturale Voce AllOpera, presieduta da Gianmaria Aliverta, dopo due anni di silenzio sofferto indotto dall’andamento pandemico, riaccende la stagione lirica 2022 con una delle opere per certi aspetti più aperte alla speranza e alla gioia come Il Barbiere di Siviglia di Rossini. Degna di nota in questa produzione è la partecipazione dei vincitori della prima edizione del Concorso di canto e di Regia dedicato a Giancarlo Aliverta tenutosi lo scorso 7 novembre 2021.
Gianmaria Aliverta prosegue con tenacia nel solco non solo di una mera e retorica divulgazione dell’opera lirica, ma nella forma più profonda della traduzione continua del genere melodrammatico allo scopo di renderlo appetibile a tutti grazie alla sua perenne attualità, e lo fa anche reclutando giovani registi innamorati di questo genere. Voce AllOpera anche questa volta si orienta e investe energia in un’operazione concettuale di metateatralità spinta agli eccessi che pare centrare appieno i suoi obiettivi di necessaria inclusività socioculturale del melodramma.
Il Barbiere a cui abbiamo assistito è ambientato in un fantasmatico lounge bar immerso nella platea tra gli spettatori che vivono serrate interazioni con i solisti e l’azione scenica, divenendo essi stessi parte dello spettacolo; sta proprio in questa radicalizzazione dell’evaporazione della funzione cultuale e ritualistica nonché dell’autoreferenzialità di un teatro troppo elitario e distante che la regista Giulia Bonghi e lo scenografo Luca Giombi (vincitori del Concorso Aliverta) decidono di contrattaccare ridisegnando i confini gli spazi della fruizione estetica in una operazione di reframe complessivo. Nello spazio di questo Barbiere non esiste più distanza e la prossimità fisica acquisisce inevitabilmente un senso simbolico e culturale che genera una singolare fusione tra spettatore e attore.
Bonghi inanella una serie di gag assai esilaranti che si avvicendano di continuo, la regista sembra come pressata dall’horror vacui che è sempre saturato (forse troppo) da pieni fatti di lazzi ma almeno divertenti; in futuro speriamo che la giovane regista possa fidarsi anche dei pieni dell’evocazione musicale rossiniana. Un’altra nota di merito della giovane regista risiede nella assenza di volgarità e grossolanità in cui sovente il Barbiere incorre a causa di alcune prassi deprecabili, per fortuna diradatesi negli ultimi anni ma sempre incombenti all’orizzonte.
L’esecuzione purtroppo non prevedeva la presenza dell’orchestra ma solo dell’accompagnamento al pianoforte, e soltanto il Finale primo ha visto la partecipazione del direttore musicale.
La direzione musicale e la concertazione, affidata a Nicolò Jacopo Suppa, convince per la accuratezza con cui gestisce la trama della scrittura vocale e le dinamiche; positiva anche la sua opzione agogica decisamente dionisiaca e febbrile, solo a tratti contemperata da momenti elegiaci e distensivi. Una scelta coerente così con l’impianto generale dell’operazione di traduzione del Barbiere in chiave destrutturata, rimarcando a ben ragione una delle cifre peculiari stilistiche di Rossini costituite dalla velocità e dalla propulsione ritmica accelerata, quasi ad esorcizzare la noia e trascinare così il pubblico in un vortice sonoro avvolgente.
Il Maestro accompagnatore al pianoforte Andrès Gallucci risponde con maestria all’appello del direttore musicale sfidando i limiti e le scabrosità delle consuete trascrizioni per canto e piano delle opere rossiniane e fornendo una prova di pianismo di spessore e aderenza alla lussureggiante scrittura, restituendoci l’integralità della partitura con una fedeltà non comune (pensiamo alla esiziale consuetudine di certi pianisti che decurtano e si risparmiano) e un tecnicismo che stupisce. Gallucci riesce altresì a sostenere i cantanti anche se di spalle e senza direttore e lo fa con un afflato potente e una passione per la musica del pesarese che traspare senza indugio.
Il parterre dei cantanti è all’altezza dell’arduo compito di affrontare una regia che esige tanto in termini non solo di azione scenica ma di interazioni continue con il pubblico e soprattutto con uno spostamento continuo negli spazi che problematizza non solo la concentrazione del canto, ma anche la percezione della retroazione acustica, spesso penalizzata per i continui movimenti scenici; cantare in versione metateatrale, senza barriera tra scena e uditorio, è un aggravio aggiuntivo alla psicologia della pratica performativa e della percezione acustica che però aggiunge valore alle prove di questi giovani cantanti.
Filippo Pina Castiglioni, veterano di lunghissimo corso rossiniano, travolge il pubblico con una verve scenica e una aderenza teatrale davvero simpatica e con una voce sonora che sa piegarsi ancora alle cospicue fioriture del Conte, riecheggiando talvolta una modalità più falsettata che ricorda un certo approccio del grande Alvinio Misciano a questo ruolo.
Il Figaro disegnato da Francesco Bossi (vincitore del Concorso Aliverta) si pone nel solco dei baritoni brillanti la cui primaria connotazione fonica è l’argentinità e la proiezione generosa del suo strumento, unito ad un’attorialità spigliata ed esuberante, aderente alla vis comica rossiniana. La vocalità di Bossi pare predestinata infatti a molti dei ruoli del pesarese, in virtù anche di una comunicatività non comune che di sicuro saprà trovare anche la quadra di un’emissione ancora meno spinta che gli permetterà una gradazione dinamica che pare ancora un po’ deficitaria; una piccola ombra in una buonissima prova complessiva.
Leonora Tess, nel ruolo di Rosina, non ha fatto rimpiangere il ruolo del contralto originariamente concepito dal compositore grazie alla sua vocalità caratterizzata da armonici brillanti e adamantini e da un canto mai pressato e sul fiato; la voce di soprano lirico-leggero le ha consentito di eludere l’alternativa di un’esecuzione pirotecnica e funambolica, spesso appannaggio dei soprani di coloratura (a volte stucchevoli) a favore di una prassi senza dubbio variata ma che conserva il sapore e l’ambiente sonoro previsto da Rossini per la la prima del Barbiere, grazie anche ad una perfetta resa delle ornamentazioni e delle colorature, cantate con voce piena e legate e ad una omogeneità di registro. Tess inoltre si muove con professionalità sulla scena, con eleganza e sicurezza mai manierata, restituendoci una Rosina credibile e volitiva, lontana dai cliché di una tradizione logora e obsoleta.
Don Bartolo è Lorenzo Liberali (vincitore del Concorso Aliverta), che ci restituisce un tutore giovanile ma convincente per un buon sillabato (fondamento di questo personaggio), generosità vocale e omogeneità timbrica che pare abbia perso una certa nasalizzazione rilevata in passato; Liberali si muove anche con destrezza scenica, fornendo una prova atletica e scattante pronta ad assecondare le mille sfumature della maschera di Bartolo assai difficile da restituire nella sua interezza per la sua commistione di cinismo, senilità, sensualità e grottesco.
La Berta di Paola Molfino (vincitrice del Concorso Aliverta), pur riconoscendole una certa buona volontà teatrale, risulta ancora un po’ scolastica e tecnicamente non convince appieno; la scelta di un soprano in questo ruolo avrebbe dovuto contemplare una vocalità assai diversa, ma siamo sicuri che in altri ruoli e con il tempo potrà trovare la sua strada espressiva più consona.
Lorenzo Mazzucchelli, Don Basilio (vincitore del Concorso Aliverta), è dotato di una voce di basso generosa, opulenta e timbricamente bella che senza dubbio gli concederà possibilità di carriera; al netto di queste considerazioni esortiamo Mazzucchelli ad un approfondimento dell’estetica vocale rossiniana, soprattutto nella ricerca di una maggiore eleganza, astrazione e idealizzazione e con correlato canto più sul fiato e meno teso alla effettismo del volume e della tonitruanza; siamo sicuri che sistemando alcuni aspetti potrà fare un’ottima strada.
Buona la prova scenica e vocale di Fiorello/Ufficiale impersonato da Timur Baschikov, così come del Coro Voce AllOpera diretto da Giacomo Mutigli.
Alla fine tanti applausi e sorrisi che danno a pensare, confermando che si può interpretare la comicità potente del teatro rossiniano ma sempre declinato nella sua funzione ironica e di sospensione del reale, la cui figura sembra proprio il sorriso e la ilarità che ci ha suscitato questa produzione, piuttosto che una risata grassa fine a se stessa.
La recensione si riferisce alla recita del 22 aprile 2022.
Giovanni Botta