
Novara – Teatro Coccia: Antonino Fogliani dirige l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI con Gile Bae al pianoforte
Venerdì 24 settembre Il Teatro Coccia ha inaugurato la Stagione autunno-inverno 2021 con un concerto eseguito dalla pianista Gile Bae e dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretti da Antonino Fogliani.
La serata, seppur contrassegnata dalla difficoltà oggettiva della defezione di Tianyi Lu, vincitrice del Concorso Cantelli, ha sortito in pieno il risultato di porre l’attenzione sulla vita del teatro, che negli ultimissimi anni ha dimostrato di avere tenacia per progettazioni, idee e rilancio della vita musicale novarese.
L’esordio del programma del concerto, già di per sé lodevole per la sua coerenza estetica interna, è affidato ad una delle pagine più significative dei sinfonismo di Felix Mendelssohn-Bartholdy: l’Ouverture Le Ebridi op.26 in Si minore. L’opera si impone fin da subito per la sua potenza simbolica, per la coalescenza di tematiche e nuclei tematici di eterogenea estrazione, ma soprattutto per la sua tensione narrativo-evocativa atta a ricostruire in maniera trasfigurata le suggestioni paesaggistiche della Grotta di Fingal, includendo anche ardite allusioni ad un certo epos di leggende gaeliche struggenti; la bellezza di questa pagina musicale (tanto amata da Wagner) è affidata alla brillante lettura di Antonino Fogliani che non pare assolutamente destabilizzato dalla sostituzione all’ultimo momento.
Il direttore dimostra ancora una volta di essere uno dei più grandi talenti della sua generazione. La cifra caratterizzante della sua concertazione risiede anche in una doviziosa cura dei particolari, tesa a valorizzare dettagli ritmici, melodici e sottotesti nascosti alle orecchie dei più. Il suo gesto chiaro e rigoroso, dialoga personalmente con tutti gli strumenti che sono così compenetrati dalla forza del suo carisma. Fogliani sa cogliere tutto di quest’opera e il viaggio di rievocazione paesaggistica di Mendelssohn diviene espediente per trasportarci nella interiorità del mondo di Fingal e di quello del compositore; la sua è una lettura rabdomantica in ascolto del senso più ineffabile posto al fondo dell’opera.
Spicca del resto la capacita geniale di Fogliani di innervare di significato la reiterazione meccanica del dualismo tematico dell’Overture e di rivelare poi con profondità la crescita progressiva del discorso musicale (che altro non è che crescita esistenziale) che è il tratto distintivo della finalità poietica oltre il fine del mero naturalismo descrittivo e mimetico.
Gile Bae, giovane pianista nata in Olanda di origine coreana, è un talento indiscusso: la tecnica inappuntabile e la modalità intimista di approccio al testo musicale la affrancano da qualsivoglia tecnicismo esibizionistico, oggi assai di moda, così da poter liberare l’essenza del discorso musicale.
Bae si cimenta con Camille Saint-Saëns e nella fattispecie con il Concerto per pianoforte n. 5 op. 103 in Fa maggiore “Egiziano”; la pianista persegue con efficacia il nucleo profondo di questo concerto tratteggiando con cura e dovizia espressiva l’esotismo di fondo della sua ricchezza tematica, che si dipana tra spunti melodici spagnoleggianti, orientali e moreschi, pur conservando una struttura formale rigorosa che valsero al genio di Saint-Saëns il titolo di precursore del neoclassicismo musicale, anche se sempre in bilico con un severo formalismo. La pianista incede sicura e audace nell’ardua scrittura del concerto, dominando tutto con perizia e preservando anche quel particolare côté di intima fusione timbrica e coloristica con il tessuto orchestrale di rapporto dialettico concertante con il tutto. Gil Bae inoltre è bravissima a destreggiarsi nel profluvio evidente di virtuosismo concertistico di cui è corredato il pezzo, non solo nel finale, e ad enucleare così il senso drammaturgico del funambolismo scritturistico che non scadono mai nel puro exploit ginnico ma sembrano piuttosto evocazioni immaginative di un viaggio in Oriente, che per Saint Saëns fu viaggio catartico, esodo dell’anima dalle strettoie del Logos occidentale.
Il concerto si è chiuso con la pagina straordinaria di Felix Mendelssohn-Bartholdy Sinfonia n. 4 op. 90 in La maggiore “Italiana” (MWV N 16), e pare sempre di più scorgere un filo rosso che sottende a tutto il programma che pare essere microcosmo di luoghi colti; dalle Isole Ebridi all’Egitto per poi virare in Italia tra Roma e Napoli nel cuore della mediterraneità colta, qui da Mendelssohn, nella sua cifra quintessenziale piuttosto che in quella oleografica e decorativistica; a dimostrazione di tale assunto sta il fatto che il compositore non si affidi ad un affresco sonoro di temi popolari ma alla chiarezza, alla luminosità, alla ricchezza della strumentazione, al “vitalismo” solare e non in ultimo ad una classicità formale bachiana (chiaro tributo alla italianità) .
Fogliani non solo coglie questo aspetto metaforico dell’opera dirigendo con chiarezza di intenti e rigorosamente a memoria, ma la sua concertazione pone in condizione ideale l’orchestra che risponde benissimo e si smarca dalle difficoltà esecutive della partitura che includono passi di acrobatico virtuosismo, banco di prova per tutti coloro che si accingono al testo mendelsoniano. L’orchestra sinfonica della Rai di Torino infatti ha dimostrato di essere in piena forma e lo fa attraverso una compattezza e omogeneità sonora di efficace risultanza performativa, ricchezza timbrica, comparti preparatissimi e un complessivo senso di unità e unitarietà di intenti narrativi davvero encomiabili.
La serata desta un grande successo con lunghissimi applausi e acclamazione per tutti.
La recensione si riferisce all’inaugurazione del 24 settembre 2021.
Giovanni Botta