
FRANZ SCHUBERT: Teatro alla Scala: Recital di Matthias Goerne
Il 3 dicembre il Teatro alla Scala ha ospitato il prezioso recital di canto del baritono tedesco Matthias Goerne e del pianista norvegese Leif Ove Andsnes. Il programma, modificato per ragioni personali in extremis dagli artisti, avrebbe dovuto includere un monografico schumanniano sostituito poi dal “Winterreise” di Schubert, topos di sicuro successo della letteratura repertoristica del baritono di Weimar.
La Scala saluta questo evento con una discreta e sufficiente partecipazione di pubblico, cosa che non può che rallegrarci a fronte del capolavoro di Schubert, sintesi suprema della sua poetica e della sua personale Welthanshauung, composto nel febbraio (primo ciclo di 12 Lieder) e nell’ottobre del 1827 (secondo ciclo di 12 Lieder).
Il baritono Matthias Goerne, veterano e protagonista indiscusso nel panorama internazionale del repertorio liederistico, conferma a pieno titolo di essere un artista la cui maestria tecnica conclamata è consustanziale ad una rara sapienza poetica e ad un afflato vocale capace di penetrare nel cuore dell’ispirazione di Schubert. Goerne fa uso magistrale della voce, testimoniato dalla ricchezza di armonici, eludendo al contempo posizioni pressate o spinte con un controllo del passaggio di registro perfetto e di una omogeneità timbrica su tutta la gamma della tessitura.
Goerne trova dalla sua parte il sostegno essenziale per l’inveramento di questo singolare capolavoro nel norvegese Andsnes, il cui eccelso pianismo si identifica senza indugio con la linea vocale del cantante, librandosi nella ritmicità ossessiva del ciclo e nella sua declinazione mutevolissima e caleidoscopica in figure plurime come arabeschi, marce funebri imperiose, disgregazione delle forme, voli melodici ed effusioni trasognate della rivoluzione formale e inaudita dell’impianto schubertiano.
I Winterreise di Schubert si articolano in maniera inequivocabile intorno al Wanderer di byroniana memoria, una figura centrale per la temperie del romanticismo nordico e per la poetica schubertiana e mülleriana. Il viandante, l’errante è una figura metaforica esistenziale assai cara a Wilhelm Müller che, seppur poeta estemporaneo, può essere a buon diritto incluso nella schiera dei grandi poeti ottocenteschi; la sua opera è stata a torto misconosciuta dagli accademici e sovente marginalizzata come una inessenziale appendice rispetto alla ricchezza della musica schubertiana.
Ciò che conta in questa serata alla Scala è che un artista come Goerne abbia pienamente incarnato e tradotto nel suo personale processo di soggettivizzazione il cuore dei Winterreise, la cui quintessenza caratterizzante è tutta una una speciale e drammatica filosofia del wanderung. Goerne trasfonde anima e densità metafisica al testo poetico, come tra l’altro lo stesso Müller auspicava: “Le mie canzoni vivono una vita a metà, un’esistenza cartacea di bianco e nero, finché la musica non soffia in loro l’alito della vita”.
Goerne coglie tutto il tragico della presunta insulsa vuotezza della vita e con sapienza incarna vocalmente non solo le note effusioni liriche ed intimiste con i suoi commoventi voli lirici e le volute melodiche (ben note ad una certa esegesi unilaterale e monotematica del mondo schubertiano) ma anche la potenza metafisica del discorso di Schubert.
La voce di Goerne, dal timbro di rara dolcezza, ha un’impostazione ed una tecnica superba che può radicalmente piegare alle istanze vertiginose dei Winterreise. Il baritono sa alternare in maniera fulminea e puntuale ora registri pieni e sontuosi ora tenui e misti, conferendo al suo canto varietà policroma, densità espressiva e agogiche meditate di rara bellezza. La sua voce invera semanticamente il tessuto narrativo e compositivo, trasfigurando tutto in una trasognata estaticità. Goerne nutre un’evidente empatia con la ispirazione ontologica e metafisica di Schubert e la sua voce sa registrare come pochi al mondo la veemenza centrifuga della musica del musicista verso un orizzonte meta spazio-temporale. Il cantante tedesco intercetta le laceranti e tragiche introspezioni del discorso musicale alla ricerca ansimante di un senso e di un’eccedenza che spieghi l’inesauribile mistero della vita, raggiungendo il suo acme nel Lied tanto amato da Schubert e da Thomas Mann “Der Lindenbaum” e in “Der Leiermenn”.
In “Der Lindenbaum”, ad esempio, Goerne esibisce un pianissimo nostalgico sul Mi naturale della strofa “Zu ihm mich immer fort” o nella quarta strofa “ Und Seine..”, dove la voce è metafora della seduzione conturbante del già stato e della rammemorazione del tempo che fu e che non potrà più essere.
Assistiamo dunque non solo ad un itinerario simbolico del viaggio dell’esistere, ma anche ad un itinerario vocale dove la voce si fa catalizzatore simbolico ed affettivo dell’ispirazione unitaria del ciclo.
La voce di Goerne ha una portanza ottima nello spazio e non ha nessun problema a rendere intellegibile la sua personale esegesi, la sua postura si flette e bascula nello spazio cercando di congiungersi con il tessuto connettivo della musica creando una sorta di zona prossemica metafisica con il pianoforte, dove sembra avvenire misteriosamente una mediazione delle idee musicali che pare provengano da un altrove sconosciuto. Tale contorsioni per forza di cose impegnano il performer non solo nella attenzione della tenuta tecnico-vocale ma anche nella spossatezza della sua anima coinvolta nella mediazione creativa. Il baritono non può che congedarsi nel modo migliore quando ci restituisce la sua personale interpretazione dell’ultima stazione di questa struggente via crucis musicale, “Der Leiermann”. La ripetizione iterativa e ipnotica della stessa melodia spiega l’esito finale del viaggio dell’errante che, credutosi estraneo al mondo prima e poi un Dio, cede ad una sorta di transfert di signficati nella figura del suonatore di organetto, una sorta di alter-ego, di “Doppelgänger”, che pacifica forse l’ansia di morte del viandante in una concreta alterità. Se si sa scorgere la dolente umanità del Cristo in questa figura potremmo anche auspicare che il viandante abbia almeno dato così un significato redentivo al dolore, cosa che Goerne realizza terminando l’utlima strofa “wunderlicher Alter..”in un pianissimo assordante nella ultima ripetizione. Il passaggio delle catene dalla tonalità di Re minore del “Gute Nacht” al La minore di “Der Leiermmann” è una sorta di indicatore simbolico di una defatalizzazione del destino del Viandante che abbraccia la totalità dell’alterità dell’altro da sé del “Suonatore di organetto”, salvandosi da un certo epilogo tragico a cui è costretto un Io solitario.
La serata si conclude con grandi applausi e senza concessioni di bis. L’unico neo si riscontra in una certa ritrosia di Goerne ad entrare in contatto diretto con il pubblico, quasi a volerlo talvolta schivare, ma comprendiamo il suo stile e ringraziamo l’artista per il suo contribuito all’arte vocale.
La recensione si riferisce al concerto del 3 dicembre 2019.