
Como – Teatro Sociale: Il flauto magico per Operadomani
Il Flauto magico di Mozart, con la rielaborazione musicale ben congegnata di Giacomo Mutigli e l’adattamento drammaturgico di Caroline Leboutte(nella duplice veste di regista), è andato in scena il 22 febbraio nella cornice della XXVII edizione di Opera Domani (storico progetto Aslico).
Anche in questa edizione sembrano raggiunte appieno le finalità primarie di questo progetto educativo di inclusione attiva delle giovani generazioni (scuola primaria e secondaria di primo grado) nel profondo patrimonio simbolico-culturale del melodramma. La previa preparazione dei ragazzi all’ascolto attraverso un iter preciso di formazione e iniziazione didattica alla ricezione è l’asse portante di tale operazione, che non solo possiede una primogenitura rispetto ad altri progetti simili, ma che sa anche evolvere negli anni nel suo scopo, cioè fornire le chiavi, seppur primarie, di decifrazione fruitiva del melodramma.
La regia di Caroline Leboutte ha un preciso taglio ermeneutico che predilige una lettura impegnata e politica dell’opera di Mozart e Schikaneder; la sua è una lettura metaforica con connotazioni ideologiche, inappropriate per il contesto, che legge l’opera come una sorta di campo di battaglia tra la sovrastruttura dei poteri forti, esemplificati dai due archetipi di Sarastro e della Regina della notte (entrambi caricaturizzati e manierati anche nei costumi e nell’impianto registico) e quelli rappresentati da Pamina e Tamino come vettori di rivoluzionarismo. La regia, non paga della sua lettura unilaterale, interpola anche due attori in veste di giovani giornalisti che commentano continuamente le vicende, accentuando una curvatura iper realistica-attualistica e sociopolitica che misconosce in toto tutta quella complessità semantica e quella purezza comunicativa dell’opera in questione. L’ adattamento drammaturgico sconta, in aggiunta, una forte dose di incongruenza e frammenta la narrazione che perde di unità e di significato complessivo, preferendo focalizzarsi su singole vicende che paiono irrelate ma sovraccaricate di ideologismo sessantottino; l’effetto dell’insieme è quello di una demitizzazione e depoeticizzazione della struttura favolistica (già densa di per se’) a favore di una militante critica sociale che pone un pesante fardello sul capolavoro mozartiano tutti a detrimento del giovane pubblico.
Non piace la scelta di affidare il ruolo di Monostato ad un attore, così come quella di non fornire dei microfoni ai cantanti durante le numerose scene parlate. I costumi e le scene di Aurèlie Borremansnon convincono, così come le luci di Nicolas Olivier, entrambi coerenti con il disegno politico-ideologico di Leboutte, prediligendo costumi di foggia moderna e desimbolizzati e un impianto luci perennemente tetro, scuro e a tratti soffocante. Discutibile la scelta di coinvolgere i bimbi in un momento corale pacifista con tanto di bandiere della pace, permeando l’opera di un’ulteriore coltre di politically correct che misconosce da un lato l’intrinseca valenza costitutiva contestataria e critica del melodramma e dall’altro il diritto ad una libera fruizione estetica dei giovani, negando ad essi la cifra onirica e trascendente del melodramma e facendoci tutti ricadere nel disincantamento complessivo e in una depressione che pare non riscattata nemmeno dal finale pacifista.
Il giovane parterre dei cantanti si è dimostrato tutto all’altezza del compito, dimostrando talento e professionalità complessiva nella difficile alternanza di prosa e lirica nonché di impegno attoriale non comune. Buona la prova di Gerardo Dell’Affetto nel ruolo di Tamino, che dimostra di possedere un bel timbro ed una emissione complessivamente fluida e morbida e acuti sicuri; convince Laura Esposito come Pamina dimostrando anch’essa un timbro suadente, una proiezione vocale generosa e una pertinenza scenica notevole; simpatica, nonché sicura nella emissione, Giulia Alletto(Papagena); convincente il Papageno di Pasquale Greco, sicuro nella condotta di voce caratterizzata da ricchezza di armonici e una intensa vis interpretativa; degna di menzione è la Regina della Notte di Chiara Fiorani, una Astrifiammante dalla voce ricca, penetrante e nello stesso tempo morbida e salda nei sovracuti, risolti con squillo e purezza di intonazione. Un passo indietro rispetto al resto del cast Renzo Ran nel ruolo di Sarastro a causa di un’emissione forzata e di una pronuncia poco chiara. Bravissimi gli attori Giulia Cattaneo e Riccardo Giacomella nella veste dei giovani reporter.
Una prova lodevolissima quella dell’Orchestra 1813 con una resa sonora omogenea e dinamiche ben variate, così come lodevole è la prova del giovane direttore Alfredo Salvatore Stillo, che porta avanti un’idea singolare della partitura rielaborata, cercando in essa un’unitarietà complessiva caratterizzata dalla maestosità e dalla magniloquenza del respiro musicale che ben si attaglia all’ampiezza ispirativa dell’opera, ben al di sopra e irriducibile a qualsivoglia lettura registica immanentista che per una eterogenesi dei fini risulta obsoleta e reazionaria.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 22 febbraio 2023 (ore 14.30)
Giovanni Botta