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Bologna – Cattedrale di San Petronio: Cantus Bononiae. Missa Sancti Petroni

Il 3 novembre, nella Cattedrale di San Petronio a Bologna è stata celebrata una liturgia solenne in onore del santo patrono presieduta dal cardinale Matteo Zuppi. Per l’occasione l’orchestra del Teatro Comunale, in coproduzione fattiva con l’associazione Messa in Musica, ha eseguito la prima assoluta di Cantus Bononiae – Missa Sancti Petronio del compositore Marco Taralli.

La committenza, affidata al maestro Taralli, ha riscontrato un successo unanime tra i fedeli, assumendo senza alcun dubbio una rilevanza non solo musicale ma storica ed estetico-musicale. La Missa Sancti Petronio è un evento che si auspica possa riaprire la strada ormai insterilita e dismessa della composizione di opere sacre ad uso liturgico.

Non è questa la sede per addentrarsi nella profondità della tormentata ed annosa vicenda tra arte e sacro in tutte le sue valenze, ma siamo certi che l’opera di MarcoTaralli, inscritta in una funzionalità prettamente liturgica, risponda senza dubbio agli accorati appelli di papi illuminati (pensiamo a Paolo VI con la sua famosa lettera agli artisti o il lavoro di Giovanni Paolo II) e alle riflessioni di  intellettuali e filosofi (uno su tutti Jacques Maritain) che fin dagli anni ’20, e in particolare dagli anni post-conciliari, si sono interrogati sul futuro dell’arte di fronte ad un mondo secolarizzato. Con la complicità di Annalisa Lubich, presidente dell’associazione Messa in musica che da diverso tempo si occupa di commissionare opere sacre a destinazione liturgica nelle domeniche di Avvento, un compositore contemporaneo come Taralli ha potuto impiegare le risorse della sua creatività, immersa nei filtri della contemporaneità, nell’alveo di una musica sacra per i nostri tempi, riconoscendo alla musica una funzione sacralizzante sempre viva ed attuale.

Cantus Bononiae possiede densità espressiva, impreziosita dalla presenza di un coro misto a quattro parti a guisa di metafora canora del popolo cristiano in cammino, diretto e guidato da Gea Garatti Ansini, mentre il canto del coro dei Pueri Cantores Alhambra Superchi è una metafora della Chiesa angelica e trionfante.

Taralli opta per la forma classica della messa con un Ordinarium (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei) in lingua latina e di un Proprium in italiano, elaborato dal poeta Davide Rondoni e tratto dal “Liber Paradisus”, utilizzato per Offertorio, Comunione e canto di uscita. La scelta di un Proprium in italiano non solo contempera in maniera efficacissima l’ufficiosità della lingua latina, ma porta alla luce la funzione più spiccatamente narrativa e comunicativa dell’italiano, che in questo caso si alimenta di un testo della metà del 1200 che sancisce la fine della schiavitù cantando le virtù del lavoro libero ed è di capitale importanza per la storia di Bologna.

Taralli riesce a trascendere i limiti angusti di un’arte liturgica spesso associata in maniera improvvida ad un’arte confessionale, devozionale, di fattura artistica talvolta dubbia, sfoggiando un magistero contrappuntistico degno della grande tradizione italiana del Sei-Settecento e una capacità scritturistica evocativa e curata nei minimi dettagli per ciò che attiene alla sfera simbolico-vocativa ed effettistico-coloristica dell’ordito orchestrale.

La Missa Sancti Petroni è musica per i nostri tempi, nutrita di profondità teologica e cristocentrica, che riesce ad veicolare la portata universale del messaggio evangelico fino al suo condensato di sacralità nella sua accezione non strettamente confessionale.  Ed è proprio il tema del lavoro decantato nel Proprium che preme di più a Taralli nella sua accezione liberante, santificante e vocazionale come contrassegno dell’anima di Bologna, ma passando attraverso il messaggio di Cristo che viene per ciò assunto come scaturigine dei grandi valori universali della nostra civiltà.

Un altro obiettivo raggiunto da Taralli, al di la dell’aspetto più celebrativo, risiede nella bellezza della sua composizione, che utilizza stilemi potentissimi e impennate creative vivaci, tutte all’interno di un sostanziale equilibrio e unità formale al di là di un ossequio a canoni e modelli precostituiti di una presunta arte liturgica ideale.

Tra la parti più eloquenti della messa sono da segnalare il Credo, caratterizzato da una primarietà della componente ritmica e propulsiva che trasfigura il discorso musicale evocando incitazioni alla fede; l’uso del coro delle voci bianche in funzione dialogico-responsiva, la cui angelicità sembra alludere che la fede non è decisione di testa ma elezione di Dio. Degno di nota il Kyrie per la soavità e morbidezza con cui Taralli conduce le parti. Altro momento topico è di sicuro l’”Offertorio Liber Paradisus” in cui la cifra del melodismo spianato e della cantabilità si intensifica e disegna uno scenario visivo tangibile e metaforico della mendicanza dell’uomo.  Il Sanctus è un’altra pagina bellissima, quasi straziante, mentre il Benedictus porta alla luce momenti elegiaci trascendenti in cui le voci cantano in linee melodiche “morii de” con il controcanto serafinico del coro. L’Agnus Dei è il pezzo più sofferto della composizione, che penetra nell’anima con un tono dolente ma che al contempo nasconde un’immane tensione escatologica e di speranza, ben evidenziata dalla magnificenza della scrittura dei fiati.

Di sicuro effetto l’apporto di due grandi solisti come Simone Alberghini e Veronica Simeoni: il primo, dotato di timbro suadente e tecnica saldissima, riesce a cantare con grande eleganza e con un senso profondamente religioso, mentre Simeoni, anch’essa dotata di un mezzo vocale di bellezza non comune, aggiunge una pertinenza stilistica che dà spessore e profondità alla sacralità della musica.

Il direttore Antonino Fogliani fornisce un’ennesima prova di talento e genialità pura e lo fa per la sua rarissima capacità di cogliere il cuore nascosto dell’opera e di pervenire nelle profondità in cui germinano le idee musicali. È in virtù di questo dono di medium rispettosissimo che la sua direzione è salda e centrata; tale autorità si diffonde su tutte le compagini, trasmettendo su tutto un’aura di bellezza direttoriale dove ogni gesto ha una profondità e un senso ormai rarissimo ai giorni nostri.

Applausi e successo per tutti.

La recensione si riferisce alla rappresentazione del 3 novembre 2021.

Giovanni Botta

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